Pubblichiamo in forma integrale il Documento di sintesi-verbale dei lavori della giornata di riflessione e di laboratorio tra attori politico-sociali che si è tenuta a Firenze, alla Fortezza da Basso in occasione della manifestazione "Terra Futura" il 31 maggio 2009. Per maggiori informazioni www.decrescita.it
La mattinata è stata introdotta da due relazioni:
§ di Mauro Bonaiuti, sulle connessioni tra le diverse dimensioni della crisi (economica, sociale, ecologica)
§ di Marco Deriu, sul nesso tra le forme e i contenuti della politica, presentando in particolare la proposta di dare vita ad un nuovo soggetto politico a livello nazionale.
Nella stessa sessione si sono anche svolte le relazioni di:
§ Gianni Tamino
§ Ugo Bardi
§ Edoardo Salzano
§ Andrea Fasullo
(di cui faremo circolare al più presto i relativi documenti di riferimento).
Il pomeriggio è stato dedicato ad un confronto di gruppo sui temi emersi dalla mattinata e l'incontro si è concluso con una tavola rotonda condotta da Andrea di Stefano (Valori), Pietro Raitano (Altreconomia), Gigi Sullo (Carta).
La discussione si è sviluppata lungo due binari: l’approfondimento delle problematiche connesse alla crisi economica ed alle sue origini e l’esplorazione a più voci sul cosa fare, qui ed ora, per individuare strategie ed azioni concrete di medio e lungo termine, capaci di accompagnare/favorire il processo di transizione verso la società equa e sostenibile ipotizzata dalle politiche della decrescita.
Il documento che segue corrisponde ad una estrema sintesi delle problematiche affrontate, riorganizzate per grandi aree a partire dalle due relazioni introduttive, arricchite dai principali contributi emersi dalle altre relazioni e dal dibattito, come indicato di seguito:
1. CRISI MULTIDIMENSIONALE E PROCESSI DI LUNGO PERIODO
a. Crescita economica e crisi ambientale
b. Crescita e ingiustizia sociale
c. Dissoluzione dei legami sociali e frammentazione dell'immaginario collettivo
d. La colonizzazione mediatica
2.
a. La crisi economica in atto e i rimedi tradizionali
b. La teoria del collasso
3. COSA FARE QUI ED ORA PER AVVIARE IL PROCESSO DI TRANSIZIONE
a. Inadeguatezza delle forze politiche e nuovi conflitti sociali non ancora rappresentati
b. Crisi ciclica o crisi di sistema?
c. Quale decrescita?
d. Città e territorio: beni comuni
e. Verso un nuovo progetto di società a partire dalla riconversione energetica
4. PERCHÉ DOTARSI DI UN NUOVO SOGGETTO POLITICO
a. Accelerare il processo di transizione verso una società equa e sostenibile
b. Quale soggetto politico
c. Una nuova immagine/identità verso un immaginario collettivo condivisibile
d. Perplessità emerse
5. PROPOSTE OPERATIVE A TEMPI BREVI
1. CRISI MULTIDIMENSIONALE E PROCESSI DI LUNGO PERIODO
Per quanto gli economisti e gli esperti delle istituzioni internazionali non abbiano saputo dire nulla sull'avvento della crisi in atto, la loro ricetta per uscirne è unanime: ritornare alla crescita economica. È questa la risposta adeguata? Per comprendere la crisi attuale occorre tentare di inserirla nel contesto di alcuni processi fondamentali di tempo lungo che comprendono almeno quattro dimensioni: economica, ecologica, sociale e culturale (o immaginaria).
Emerge con chiarezza che è proprio la crescita economica all’origine dei processi degenerativi individuati a questi diversi livelli. Quella crescita economica avutasi a partire dal processo di industrializzazione (1820) caratterizzata da una velocità di espansione ignota ai periodi precedenti e che ha portato ad una progressiva diffusione del mercato come modello dominante di scambio sociale.
Crescita economica e crisi ambientale
La crescita economica è alla radice della crisi ambientale. Le attività umane stanno cambiando l'ambiente del nostro pianeta in modo profondo e in alcuni casi irreversibile. In soli due secoli l’uomo ha radicalmente modificato il flusso di energia sul pianeta, bruciando combustibili fossili accumulati nel corso di molti milioni di anni e accumulando quantità crescenti di rifiuti e di inquinanti incompatibili con i cicli biogeochimici. Stime attendibili dicono che con un limitato aumento dei consumi del 2% annuo, tutte le risorse energetiche già accertate si esaurirebbero nel 2050. Abbiamo ormai raggiunto il picco nella produzione di petrolio (vedi dati Aspo) inoltre, con la riduzione della disponibilità delle materie prime fondamentali, i prezzi aumenteranno, mettendo in discussione le stesse capacità accumulative del sistema.
Crescita ed ingiustizia sociale
Il processo di crescita/accumulazione/innovazione segue una logica auto-accrescitiva che aumenta il livello della produttività e premia operatori e contesti socioeconomici più efficienti e competitivi, concentrando una ricchezza straordinaria nelle parti più sviluppate del mondo. I dati in nostro possesso confermano che è questo modello di sviluppo accelerato e a macchia di leopardo, che destina il pianeta ad una polarizzazione crescente tra paesi ed aree sempre più ricche (quelle ad alto sviluppo economico) e paesi ed aree sempre più povere (quelle a basso sviluppo).
La polarizzazione dei redditi (1% più ricco possiede più del 57% più povero), fonte di ingiustizia globale, genera – sopratutto nel Sud del mondo - conflitti che si vanno a sommare a quelli legati allo sfruttamento delle risorse. Nel Nord del pianeta tuttavia, nonostante la forte crisi economica, paragonabile a quella degli anni Trenta, la reazione della società appare per il momento molto al di sotto di quella che ci si potrebbe aspettare, quantomeno sulla base di una lettura di tipo marxista. Una prima motivazione la possiamo trovare nel fatto che nel nord ricco il calo dei redditi è in parte compensato dai risparmi accumulati, che fungono da ammortizzatore sociale. Tuttavia per capire la scarsa reattività sociale dobbiamo volgere la nostra attenzione sopratutto alle trasformazioni della società e dell'immaginario collettivo.
La dissoluzione dei legami sociali e la frammentazione dell’immaginario collettivo
La modernità ha comportato l'estensione della logica di mercato, centrata su relazioni di tipo impersonale e mercificato. Questo ha comportato l’avvio di un processo di progressiva dissoluzione dei legami sociali (ben argomentato dalla linea di ricerca Mauss, Malinowski, Polanyi) che si esprime oggi sotto forma di liquidità sociale (Bauman).
Con l'avvento della società post-moderna e la fine delle “grandi narrazioni” si assiste inoltre ad un processo di progressiva frammentazione dell’immaginario collettivo, sostenuto - oltre che dalla dissoluzione dei legami sociali - da altri processi:
- il passaggio ad un sistema di produzione post-fordista (D. Harvey); in particolare la scomparsa della fabbrica (come luogo di produzione/relazione) la progressiva finanziarizzazione dell'economia , la flessibilità del mercato del lavoro, il precariato, ecc.
- il moltiplicarsi del numero e della varietà degli oggetti che ci circondano che consente la moltiplicazione all'infinito dei possibili universi di senso, incomunicanti e frammentati, sottraendo tempo/attenzione/intelligenza/risorse alle relazioni interpersonali necessarie alla costruzione di rappresentazioni condivise.
La graduale perdita di un orizzonte di senso condiviso - ad oggi - risulta l’ostacolo più evidente al coagularsi di un progetto alternativo al sistema dominante.
La colonizzazione mediatica
Da questo possiamo forse concludere che non esiste un immaginario dominante? La risposta è senz'altro negativa. Nel contesto della società liquida pochi attori economici si sono impossessati del controllo del sistema mediatico, sfruttandone la sua potente capacità di colonizzazione, creando così un immaginario collettivo funzionale alla accumulazione capitalistica: l’immaginario consumista, unico collante condiviso, di fronte ad una miriade di stimoli/occasioni/miraggi/ricatti, offerti dal sistema dominante.
2.
La crisi economica in atto e i rimedi tradizionali
Quanto detto ci aiuta a comprendere la crisi attuale? La crisi ecologica, in particolare l'aumento della domanda di energia, ha portato il prezzo del barile a superare i 140 $ nel luglio
Come la società ha reagito alla crisi? Le reazioni alla crisi si rivelano in genere simili a quelle che si ebbero alla fine del XIX secolo al termine del primo grande processo di globalizzazione descritto da Polanyi (tensioni protezionistiche, difesa delle banche e dei grandi gruppi e soprattutto intervento protettivo dello Stato nazione), anche in questo caso, in modo largamente indipendentemente dalle ideologie di riferimento dei singoli governi.
La capacità di risposta autonoma della società appare oggi ulteriormente indebolita dai processi di dissoluzione dei legami sociali e di frammentazione dell'immaginario collettivo. Si comprendono in questa prospettiva le spinte a demandare l'intervento unicamente all'autorità degli Stati e delle Banche Centrali e, nel contesto italiano, la crescente legittimazione che incontrano prassi di governo di tipo carismatico e autoritario. Ma è possibile una lettura in qualche modo unitaria delle varie dimensioni della crisi?
La teoria del collasso
Interessante, in questa chiave, la teoria del collasso delle società complesse di J. Tainter. Nata dall’osservazione del declino delle più importanti civiltà della storia (Impero romano, civiltà Maja, isola di Pasqua ed altre) sostiene che quando le strutture economico sociali superano una certa soglia di complessità, i benefici della complessità iniziano a decrescere rapidamente e vengono ben presto a essere superati dai costi, portando la società stessa al collasso.
Tale ipotesi sembra confermata in particolare in un contesto caratterizzato da risorse limitate. Il sistema cerca di rimanere per quanto possibile in omeostasi, senza cambiare. Il sistema politico, in particolare, cerca di bloccare le trasformazioni per mantenere gli equilibri attuali, ma anche l’omeostasi ha dei limiti fisici precisi, superati i quali il sistema crolla (U. Bardi). Alla luce dei trend descritti il collasso sembra lo scenario più probabile, benché non si disponga, anche per la mancanza di ricerche in merito, di evidenze empiriche sufficienti a trarre conclusioni.
Tuttavia è possibile concludere che le risposte tradizionali basate sul rilancio della crescita - in particolare attraverso l'intervento della Stato - possono costituire, nella migliore delle ipotesi (il keynesismo verde della obamaeconomics), nulla più che una risposta di emergenza. Nel tempo lungo ogni modello basato sul rilancio della crescita non può che condurre ad aggravare ulteriormente le cause profonde della crisi.
3. COSA FARE “QUI E ORA” PER AVVIARE Il PROCESSO DI TRANSIZIONE
Inadeguatezza delle forze politiche e nuovi conflitti sociali non ancora rappresentati
Viene presentata una chiave di lettura sul perché le attuali formazioni politiche non siano in grado di rappresentare le problematiche attuali. Le strutture dei partiti si sono storicamente formate intorno a conflitti centrati su quattro tipi di opposizione: centro/periferia; stato/chiesa; città/campagna; capitale/lavoro. Queste dinamiche sociali non spiegano i conflitti attuali, centrati invece su di una nuova frattura, legata alla globalizzazione, alle forme dei mercati ed alla molteplicità delle realtà culturali e territoriali: movimenti migratori, società interculturale, differenze culturali, non rientrano infatti nelle proposte dei partiti, né nelle azioni dei governi. Un dato di rilievo che allontana la presa di coscienza dei fenomeni in corso, è che la nuova frattura taglia trasversalmente tutte le strutture economico/sociali e le stesse forze politiche, che sono quindi in difficoltà a leggere ed interpretare queste nuove realtà, da cui loro stesse sono attraversate.
Crisi ciclica o crisi di sistema?
Resta aperta la domanda se il sistema capitalistico sia o no in grado di rilanciare una ripresa dell’economia a tempi lunghi, oppure ci troviamo di fronte ad un primo segnale di crisi di sistema. E' probabile che la ripresa nel lungo periodo (prossimi 20-30 anni) non sia possibile, proprio per il sensibile aumento dei costi necessari per alimentare il processo di produzione (essenzialmente: costo del lavoro, delle materie prime/energia e dell’apparato statal-militare e dunque delle tasse) determinando così la fine del modo di produzione capitalistico (Wallerstein).
Per chi segue queste tematiche è ormai chiaro che parlare di decrescita non significa ipotizzare una riduzione dell'occupazione, o tanto meno del benessere, quanto piuttosto pensare ad un nuovo progetto di società, ad un nuovo immaginario, cimentandosi al tempo stesso con nuovi modi del vivere e del lavorare e dotandosi di uno sguardo di insieme che riparta dal bene comune. In altre parole, ciò che caratterizza il progetto di società della decrescita è il desiderio di costruire un nuovo orizzonte di senso condiviso attorno alle parole chiave della sostenibilità, dell'equità e dell'autonomia.
Città e territorio: beni comuni
Si rileva che sia stato un grave errore avere dimenticato quanto sia fondamentale il conflitto tra interesse comune ed interessi meramente economici. In quest’ottica sia il territorio che la pianificazione territoriale vanno considerati beni comuni; e in particolare la seconda va pensata come uno strumento per immaginare/orientare/qualificare/accogliere lo sviluppo della società, attraverso un lavoro di coordinamento complessivo tra le varie esigenze sociali. Questo perché l’organizzazione della città e del territorio condizionano pesantemente costi, tempi e relazioni della vita quotidiana.
Verso un nuovo progetto di società a partire dalla riconversione energetica
Esistono già ambiti di analisi condivisa tra i diversi attori che, non solo nel nostro paese, ragionano sulla società di decrescita, e sono già state sperimentate una grande quantità di singole azioni, buone pratiche e progetti, e possiamo dire che finalmente non sono più solo di “nicchia” (anche se politica continua ad ignorarle). Il problema è come riuscire valorizzarle e diffonderle, farle circolare, metterle in rete: Forse nella situazione attuale potremmo iniziare questo lavoro di diffusione/cambiamento generalizzato partendo dall’invito ad attuare una riconversione energetica consapevole, che coinvolga le realtà locali e che consenta di costruire concretamente sul territorio proposte alternative, centrate su problemi di interesse generale. Un lavoro che permetta di tenere insieme le molte esperienze positive emerse, le liberi dal rischio di essere ancora e sempre autoreferenziali e riesca a coinvolgere sempre più all’azione le persone che svolgono il ruolo di gruppo dirigente del nostro paese, insieme a quelle centinaia di migliaia di piccoli investitori che operano sul territorio.
Alcune indicazioni per evitare il collasso emerse dal dibattito:
§ ridurre il consumo di materia riciclandola e utilizzare come fonte di energia il sole o comunque fonti di energia rinnovabili da questo derivate: acqua, vento, ecc.; utilizzare processi produttivi ciclici, senza produzione di rifiuti; evitando le combustioni (G. Tamino). Un’ampia dematerializzazione dell’economia sembra tecnologicamente alla portata dell’umanità moderna, ma le comunità non dispongono di alcun controllo sulle relative tecnologie;
§ proporre un processo complessivo di trasformazione (a partire dalla valutazione dell’insieme delle risorse presenti sul pianeta in rapporto al consumo attuale) che precisi un tetto complessivo sostenibile, dal livello mondiale e regionale alla definizione di una “quota personale di riferimento”: in questo modo si riuscirebbe anche a recuperare una visione politica del problema dei consumi, attraverso la quale il singolo si consideri e agisca come parte di una comunità;
§ passare da una pianificazione grigia (generalizzata) ad una pianificazione regionale a mosaico, riconoscendo le esigenze della comunità ma rapportandole alle risorse reali e cercando di individuare le soluzioni più adatte a raccordare comunità/territorio/risorse/cultura;
§ affrontare il problema dell’alimentazione: nel mondo ci sono mezzo milione di persone che mangiano in eccesso, con punte di obesità diffuse, e un miliardo di persone che non si nutrono a sufficienza, tanto da morirne. Se non si fa subito qualcosa saremo di fronte a carestie spaventose. Deve essere compiuto - a livello planetario - un lavoro di approfondimento/valorizzazione delle risorse alimentari territoriali, capace di favorire in ogni regione l’autosufficienza alimentare e di liberare le differenti realtà socio/economiche dai ricatti delle multinazionali;
§ non si deve poi dimenticare che la vera causa della fame è la povertà: la produzione globale di cibo sarebbe già oggi sufficiente per gli oltre i sei miliardi di abitanti della Terra, ma il cibo è distribuito in modo non equo e la sicurezza alimentare non si può raggiungere se poche multinazionali hanno il controllo del settore agroalimentare mondiale; l’aggressività commerciale di queste aziende - prima concentrata sul controllo delle sostanze chimiche impiegate in agricoltura e ora rivolta al controllo delle risorse genetiche e delle sementi, grazie anche ai prodotti transgenici e ai brevetti biotecnologici – fa sì che essere dirigano buona parte della produzione mondiale, riducendo contemporaneamente quella biodiversità agricola che garantiva il cibo ai paesi in via di sviluppo.
4. PERCHÉ DOTARSI DI UN NUOVO SOGGETTO POLITICO
La pericolosità del momento è grande. È necessario tenere sotto controllo i tempi dell’azione politica, perché la crisi ecologica e climatica non ci danno molto tempo (si pensi al riscaldamento globale, all’esaurimento delle risorse, alla perdita di biodiversità ecc.) e le scelte che compiamo oggi avranno profonde ricadute per tempi assai lunghi.
Accelerare il processo di transizione verso una società equa e sostenibile
Per uscire dalla crisi è necessario dar vita a nuove forme sociali e reinventare lo spazio pubblico e le istituzioni politiche che lo regolano. Non si tratta semplicemente di imporre nuovi temi e istanze alle forze politiche attuali, e nemmeno di aggiungere una nuova forza politica allo spazio politico esistente. Come è stato notato da Stein Rokkan l’attuale sistema politico, in Europa come in Italia, si è strutturato storicamente attorno a determinate cleavages (o fratture politiche), sorte dai processi di unificazione nazionale (il conflitto centro/periferia e quello stato/chiesa) e di industrializzazione (il conflitto città/campagna e quello imprenditori/classe operaia). Oggi queste rigide opposizioni sono inadatte a dar conto del mutamento sociale, mentre i nuovi conflitti emersi con i processi di globalizzazione e con la crisi ecologica della seconda modernità (il conflitto tra globale e locale, tra flussi e luoghi, tra crescita e sostenibilità solo per citarne alcuni) non trovano adeguata rappresentazione nello spazio politico attuale.
Si tratta quindi di articolare uno sguardo che ci aiuti a intravedere una nuova configurazione dello spazio politico, mirando ad una riconfigurazione della struttura complessiva del sistema. Si tratta dunque di sollecitare un processo di transizione, con azioni volte a:
§ costruire uno nuovo spazio pubblico socio-ambientale capace di porre il tema dell’equità e della sostenibilità in una prospettiva più ampia;
§ promuovere un’idea di cittadinanza più ampia e inclusiva;
§ promuovere un cambiamento istituzionale che individui forme costituzionali e giuridiche, e forme di partecipazione, più adeguate alle sfide che ci attendono;
§ sperimentare nuovi spazi e strumenti partecipativi che sostengano le forme di autorganizzazione locale.
Quale soggetto politico
L’idea è di dar vita ad un nuovo soggetto politico che abbia un terreno di azione sia locale che nazionale, ma che non sia un partito elettorale. Uno spazio pubblico che favorisca la partecipazione e la condivisione fra quanti sono interessati al processo di transizione del sistema attuale verso una società equa e sostenibile. Una nuova sede politica - organizzata a livello nazionale - che:
§ non si ponga l’obiettivo di partecipare alla competizione istituzionale, ovvero non miri all’occupazione dei posti di potere ma forme di azione politica autorganizzata e senza mediazioni, pur avendo come obiettivo l’influenzare le istituzioni politiche su singoli aspetti o decisioni.
§ sia di tipo trasversale, cioè coinvolga competenze e provenienze sociali e politiche differenziate, purché alternative al sistema;
§ costituisca uno spazio di relazione mirata che si attivi in particolare là dove si trovino condizioni locali già mature, e sia in grado di convogliare le necessarie competenze ove necessario, per sostenere, attraverso campagne tematiche specifiche che diffondano le buone pratiche raggiunte, quello sforzo di connessione/progettazione funzionale alla nascita di una rete ampia di punti di eccellenza politico-sociale;
§ si conquisti il proprio alone di visibilità sul campo, attraverso azioni e relazioni interpersonali e collettive, per innescare un processo di radicamento sociale e territoriale;
§ sia in grado di dare un contributo significativo alla narrazione della nuova società equa e solidale, essenziale per la ricostruzione di un immaginario collettivo condivisibile;
§ privilegiare forme di iniziativa pubblica che assumano come necessario il bisogno di produrre forme nuove dotate di una loro eccentricità, capaci cioè di dare risposte sufficienti ai bisogni del contesto, ma anche in grado di produrre un cambiamento sistemico.
Una nuova immagine/identità verso un immaginario collettivo condivisibile
Nel dibattito è emersa la consapevolezza che per la ricostruzione di un immaginario collettivo non può bastare il consumo critico, né il biologico, né le buone pratiche individuali: per accompagnare la transizione è necessaria una descrizione del mondo che parli della crisi sistemica in cui viviamo; una “narrazione” capace di raccontare un altro modo di fare economia e di immaginare una società desiderabile; che descriva e distingua l’economia proposta dalla politica della decrescita dall’economia “canaglia” attuale. Un possibile soggetto politico dovrebbe dunque mirare a mostrare che è possibile un altro tipo di economia; che si possono contenere gli sprechi, utilizzando meglio le strutture esistenti; riscoprire l’autoproduzione, la solidarietà collettiva, la regolamentazione del mercato e anche la ribellione contro le leggi che consideriamo ingiuste. Che permetta dunque, al contempo, di riappropriarsi della politica, dei propri diritti e di promuovere un senso più consapevole dell’abitare su un unico e fragile pianeta.
Le perplessità di alcuni dei presenti su questa proposta politica non sono tanto connesse all’opportunità, o meno, di promuovere un nuovo soggetto politico (necessità ormai ampiamente riconosciuta) quanto alle difficoltà incontrate negli ultimi decenni quando si sia tentato di mettere insieme soggetti diversi con l'obiettivo di federali intorno ad un unico progetto politico, ancor più quando si è scelto (come nel caso dell'esperienza zapatista) di muoversi al di fuori della forma partito.
4. PROPOSTE OPERATIVE A TEMPI BREVI
Al termine della giornata (rivelatasi peraltro molto utile per costruire relazioni e verificare la concreta possibilità di acquisire ulteriori energie da coinvolgere nel progetto) sono stati indicati alcuni appuntamenti/percorsi:
§ relativamente alla costruzione del nuovo progetto politico si considera opportuno la produzione di un testo scritto su cui avviare un dibattito (dapprima interno ai partecipanti al seminario) per affrontarne sia gli aspetti organizzativi e che per meglio individuare i grandi temi su cui iniziare a lavorare;
§ si propone - nel frattempo - di creare un punto di coagulo (mailing list, blog, sito...?) fra tutti coloro che sono intervenuti a Firenze e fra chi altro sia interessato, per condividere contatti, documenti e letture fondanti: in altre parole il materiale che si consideri utile per attivare un dibattito pubblico su questi temi, nella consapevolezza dell'urgenza della crisi;
§ aprire all’interno delle riviste coinvolte in questo seminario - nelle forme che esse ritengano opportune ed efficaci - uno spazio di discussione sulle tematiche più significative affrontate nel seminario, a seguito del quale convocare un eventuale secondo incontro, anche con finalità costituenti.
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