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lunedì 12 dicembre 2011

Del senso del Sacro e della Grazia negli Antichi - Preambolo [2]


Dal "report del senso del sacro e della grazia e connessioni con la decrescita"
(seconda parte)



Preambolo


Il tempo soggettivo -liberato e consapevole -è il tempo essenziale della re-esistenza, quello dedicato alla cura ed all’ascolto del cuore-abisso; è un “tempo dell’inizio”, la possibilità per ciascuno di percorrere il senso della propria vita nella Vita.1



.. sui passi degli antichi e delle divinità antiche femminili

a cura di Filomena


Tra querce e macchia mediterranea, con lo sguardo che si perde lungo la sinuosa valle del fiume Mingardo, a ripercorrere i passi del popolo lucano, bellicoso e ostile, come lo descrivono gli storici che ne tramandano la memoria, spirituale e complesso, come alcune evidenze sembrano suggerirci. Il sito archeologico è quello di Roccagloriosa, tra le valli del Mingardo e del Bussento, nell’immediato entroterra del Golfo di Policastro: un abitato di V-IV sec. a.C. in parte difeso naturalmente, in parte circondato da poderose mura di fortificazione, in cui gli spazi si articolano, secondo un disegno armonico ed equilibrato, in abitazioni, aree pubbliche, superfici agricole e spazi inutilizzati.

Non lontano sorge la necropoli con le sue tombe monumentali, talvolta precedute da recinti di pietra, aree di rispetto che le rendono simili a veri e propri templi.

Una stretta relazione tra i vivi e i loro antenati era alimentata da una visione ciclica della vita e del tempo. Il ciclo del tempo fluiva da una generazione all’altra, e ogni generazione sapeva che i propri discendenti avrebbero ereditato la stessa terra.

La loro connessione era sancita anche attraverso i ricchi corredi che accompagnavano le sepolture: oggetti carichi di valenze simboliche, come il bracciale a tripla spirale con terminazioni a testa di serpente, gli specchi o le anfore finemente dipinte, come quella su cui si dipana il mito di Niobe, madre di molti figli, vantati per la straordinaria bellezza e posti al di sopra dei figli di Leto e Zeus. Un peccato di presunzione immediatamente punito da Artemide e Apollo, che fanno strage dei figli della donna. Con grande grazia le immagini non ritraggono, come è usuale nella rappresentazione di questo mito, l’atto cruento del massacro, ma il momento commosso e pietoso della trasformazione di Niobe, vinta dall’immane dolore, in una pietra da cui scorre acqua senza fine.

Nella figura di Niobe è adombrata, come confermano alcune versioni del racconto mitico, la madre del genere umano, una sorta di madre e dea primordiale, così simile alla grande divinità del mondo religioso lucano.


Il suo nome è Mefitis, “colei che fuma nel mezzo”o “colei che sta nel mezzo”, dea che agisce tra cielo e terra, tra sottosuolo e superficie.

Il suo culto si colloca in zone boscose, ricche di acque (anche sulfuree), presso la confluenza di tratturi di transumanza.

Il suo nome è spesso associato ad appellativi, tra cui quello di Aravina, derivante, secondo un’interpretazione, dal lat. Arvum, con un significato collegabile alla sfera agraria.

Altro appellativo, attestato in alcune iscrizioni, è quello di Kaporoinna o Kaporotinna che rimanda da un lato alle Nonae caprotinae, le feriae ancillarum, un rito di fertilità celebrato da donne di condizione servile, dall’altro alla capra, animale sacro a Giunone, ma anche a Venere, con la quale la dea Mefite sembra avere molti punti in comune.

Dunque una divinità liminare con connotazioni infere, cui talvolta si accompagnano quelle di dea oracolare, ma anche divinità della fertilità e della fecondità, nonché guaritrice di uomini e armenti.

Tuttavia, tra i molteplici aspetti di Mefite spicca in modo particolare quello liminare: la dea che “sta nel mezzo”, tra il mondo ctonio e quello uranio, tra il sottosuolo e la superficie, tra cielo e terra. Non è dunque un caso che il culto di Mefite sia collegato alla presenza di sorgenti e di acque: l’acqua, elemento di raccordo tra il sottosuolo e la superficie, associata al culto di Mefite acquisisce un significato che va al di là di quello connesso con le consuete pratiche di purificazione rituale tipiche dei contesti sacri.

Il continuo fluire delle acque sorgive diventa sinonimo del perpetrarsi della vita e del rinnovarsi dell’esistenza attraverso i suoi cicli naturali.

Le diverse connotazioni di Mefite, divinità celeste e ctonia, sono confermate dalla varietà iconografica dei tipi presenti nei depositi sacri. Alcune rappresentazioni riconducono al mondo matronale, e mostrano la dea seduta in trono, talora nell’atto di allattare un bambino.

Talvolta la dea è ritratta con il polos (copricapo, segno della condizione divina, associato fin dalla Preistoria a raffigurazioni di divinità ctonie) e la phiale (coppetta che allude al rito libatorio e che, mostrata dalla dea, costituisce un riferimento alla benevolenza della divinità nel riceverlo).

Il carattere infero è testimoniato dall’iconografia della dea che regge in braccio cinghiali, simboli dell’oscurità in lotta con la luce, o stringe nella mano un melograno, frutto anch’esso ambivalente, simbolo di morte e di fertilità/vita, di cui Mefite è regolatrice.



Durante questa visita al sito abbiamo incontrato il custode del luogo che ci ha portato nell’area del mercato dove si affacciano abitazioni, tutte intorno e meraviglia delle meraviglie un pozzo votivo con al fianco un antico forno di cottura del pane. Anticamente il pozzo è il sito presso cui attingere la Sapienza e di esaudimento dei desideri e Il forno per il pane: il pane e il forno sono simboli sacri della Dea; miniature di forni con simboli (losanghe, zig zag, etc.) della Dea sono state ritrovate in tombe del Neolitico; il forno rappresenta l’antro dove dimora e dal quale può provenire la divinità stessa: è il caso di forni antropomorfi con fattezze di Dea.

Il custode ci rivela anche che nella tomba della Principessa sono stati ritrovati monili d’oro tra cui un bracciale a forma di serpente ed uno specchio.

1 “Il Gioco del MONDO” di Raffaele K Salinari – Punto Rosso


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